Rosalia,bambina pellegrina (piccola storia laica)

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Piccolo racconto laico  in onore della bambina pellegrina

per cui oggi a Palermo di notte si sale a piedi (l’acchianata) sul Monte sacro della città: il Monte Pellegrino- Questa piccola storia laica  fa parte di un progetto più complesso a cui sto lavorando e che spero di potere terminare.. ..diciamo entro Natale..

Rosalia la bambina pellegrina

Il no! le salì dal cuore e allora lei strinse le gambe. Aveva voglia sua madre a trattarla come una bambina. Di nuovo strinse le gambe. No! Si disse. Non se ne parla, si disse, lei quel vecchio bavoso certo che no, non lo sposava e poi sapeva bene da quando era piccina di dovere fare ben altre cose con la sua vita.

La strada l’avrebbe trovata da sola. Senza dire una parola a nessuno. Muta. Quante streghe aveva visto a cui avevano strappato la lingua, gorgogliare mentre strabuzzavano gli occhi nel disperato tentativo di, capiscimi, per favore, capiscimi. Mute.

No! se lo disse da muta. E strinse le gambe. Doveva andare pena la vita.

Fu una grande fuga. Ne parlarono per secoli. Ancora ne parlano.

Allora fu possibile perché in quel tempo le fanciulle erano diventate fate, se ne stavano sospese a grappoli, a mezz’aria, le vesti bianche e ballavano e ballavano colme di gioia, sicure di potere cambiare l’ordine delle cose. Non essere più soggette e costrette. Da dove veniva loro questa sicurezza? Non lo so. Ma proprio per questa sicurezza, erano molto ammirate e anche, perché no? temute. Tant’è che qualcuno compose il canto delle verginelle che ballano in cielo:

Bella festa si fa ‘n’celu cu li vìrgini e li santi

con amuri e tantu zelu

li vìrgini abballanu tutti quuuuaaaaantiiii. 

E ancora poi

balla Fravia e Pritunilla Brigida e Giulia…..e poi…

Ora nesci Ursula santa cu la cara cumpagnia.. balla Barbara e Lucia…

Rosa Ciccia e Pittinina

e così via e così via…

Niente ne sapevano del futuro che le attendeva. Tutte, come dicevo, erano fate e non c’erano fate madri o matrigne a dire loro cosa dovevano fare o non fare. Erano le ragazze stesse a decidere come e dove andare, sicure del cammino.

Le madri? Stavano alla finestra. Alcune urlavano: rientra! Rientra! Statti a casa, svergognata! Ma le più stavano alla finestra. Non osavano intervenire. Anche loro avrebbero voluto ballare ma non ne avevano il coraggio. La loro vita ormai era quella: accettazione e noia.

Così erano le cose quando Rosalia lasciò casa- la madre non aveva saputo difenderla dalla prepotenza paterna- e si perse per i boschi tra rovi, fantasmi, streghe e folletti, senza paura. Prese, come se la conoscesse da sempre, una strada magica e dimenticata da troppo tempo e la rinominò. Ogni ciuriddu. Ogni alberello. Ogni ciuriddu. Ogni alberello prese nome.

Ecco come andarono le cose mentre ancora era nel castello:

“Le foreste non le hai mai viste, neanche immagini come possono essere buie.”

Disse la madre per farla spaventare.

“Ci voglio andare lo stesso, l’interruppe la bambina, perché loro me ne hanno parlato, ci hanno abitato.”

“Chi loro?”

Chiese la madre accarezzando, già piena di nostalgia, la bella fronte della bimba.

“Loro.” E tacque.

Erano state le fate. La madre capì e tacque pur ‘essa.

“Le radici escono dalla terra! “Aggiunse estatica Rosalia.

“Hanno occhi, fauci spaventose. Scaglie. Denti di fuoco, sommersi, infrattati, ricoperti di terra.”

Un lampo di terrore o gioia l’attraversò. Ripeté fino quasi a consolarsi: ricoperti di terra, nella terra addormentati. Non poteva sapere di parlare del proprio destino.

“Nell’orto mi parlano e poi spariscono attorcigliati nelle loro stesse ali colorate.” Sussurrava.

“E’ tempo d’andare.”

Aggiunse guardando la madre adesso con lo sguardo severo di un’adulta responsabile. E la madre s’impressionò, in un angolo vide il fagotto con proprio due cose inseparabili che la figlia si era preparata di nascosto. Allora pianse ma non per quello che voi pensate, cioè cuore di mamma e non rivedere più la figlia che certo le spaccava il cuore, ma le lacrime amare furono per altro, per il destino di solitudine che la figlia stava prendendo sulle proprie spalle con quella leggerezza che si può avere solo da fanciulli.

Così, pian pianino la bambina s’incammina.

La cometa è nel cielo.

La madre è rimasta alla finestra, un dito oscuro attraversa, infrange la perfezione dell’universo, sconvolge le leggi dell’ordine, i sacri principi delle galassie. La luce pallida, perfida, pericolosa illumina le cime degli alberi. Un dito scagliato nell’universo, pallida stella, coda trasparente di fantasma.

Cose terribili aspettano la sua bambina.

E’ destino, si dice la madre e chiude la finestra, tanto a guardare fuori non ci guadagna niente. Forse potrebbe seguirla ma non le pare opportuno. E lei a queste cose ci tiene. Non si smette mai di educare una figlia. Ora la bambina deve camminare da sola, senza sostegno, senza pensieri. Compiere i passi certi verso il proprio destino, anche se questo spacca il cuore della madre.

La cometa è nel cielo.

Rosalia l’osserva mentre s’addentra nel bosco. Un dito luminoso traccia la perfezione dell’universo. La luce pallida illumina le cime degli alberi come un’aureola magica.

Cose meravigliose e terribili mi aspettano, lo so, non mi oppongo, mi riconosco in esse, sento la forza, sento il destino.

E avanza nella foresta.

Alberi come stecchi. Alberi come fronti divisori. Alberi come segnali di attraversamento. Sentieri non ce ne è più. Alberi uno dopo l’altro.

Indugia tra uno e l’altro. Sospende il fiato. Sta in silenzio. Lì in quel vuoto, le arrivano cose confuse all’inizio, poi vedremo.

Due palme, gialle, marrone con i ciuffi smossi dal vento, le fanno da porta d’ingresso nel confine tra la terra coltivata e quella selvatica. La bambina poggia le mani sui tronchi, preme un po’ quasi a farsi male e le palme ondeggiano lievemente: attraversa, attraversa, le sussurrano.

Passa la porta. Lascia le belle zolle di terra arata, gli ulivi in file perfette, le vigne a filari alle spalle, i comignoli delle case con un filo di fumo, l’odore del pane.

Adesso è nella foresta, in quella confusione di rami, di radici, di terra smossa, di bacche che cadono dall’alto. Alza lo sguardo. Non riesce a vedere il cielo se non attraverso il fitto dispiegarsi dei rami che s’intrecciano e si parlano: albero con albero.

Riuscirò a percorrerla tutta fino a trovarmi dall’altra parte? Non sono mica Alice nel paese delle meraviglie, si dice, io sono una bambina siciliana, piuttosto carina, che il padre vuole fare sposare con un vecchio bacucco. Dove vado? Cosa mi spinge? Non sarà meglio tornare indietro e riprendere il normale tran tran? Adeguarmi ai desideri di mio padre? Stringe le gambe. Mai. Quello che le propongono in famiglia non le piace per niente. Lei vuole altro. E’ altra cosa, anche se ancora non sa bene cosa.

Le è dispiaciuto lasciare la madre. Ma in questo momento a stento riesce a farsi carico del proprio destino. Dei silenzi di questa, dell’accettare ogni prepotenza da parte del marito, non può farsi carico. La madre deve muoversi da sé. Non può contare su Rosalia, non in questo momento.

E’ dura e inviolabile come un guerriero.

Così vaga tra alberi giganteschi. Passano le giornate e lei si abitua, lei non è madre, non è moglie né sorella, lei è se stessa, lì in questo nuovo mondo.

Cerca quel qualcosa che l’ha spinta a lasciare la famiglia a dire no al padre padrone, a mettersi in cammino dal suo paesello arroccato tra i monti, giù giù verso la città sul mare.

Cerca.

Ancora attraversa porte fatte d’aria tra gli alberi. Si ferma. Attende. Ascolta. Impara. Non è triste, a volte un po’ scocciata di essere sempre sola, questo sì.

Lei è il suo destino.

Così passa un inverno, una primavera, un’estate, un autunno e ancora un inverno e una primavera, e allora finalmente c’è l’incontro con la Montagna.

Ambedue, Rosalia e Montagna capiscono di essersi trovate.

Ah, ecco! Dice la ragazza che ora non è più bambina. Ah, ecco! Dice la Montagna che finalmente ha trovato chi l’abiterà per sempre.

Per sempre? Ancora Rosalia non lo sa, lei crede di salire lassù e trovare una grotta adatta alle proprie esigenze ma non sa cosa sta per capitarle. Si sente così forte, la ragazza, non può neanche immaginare la forza di quelli. Quelli che scrivono le storie e disegnano il mondo. Per caso era questo che tentava confusamente di dirle la madre?

Non lo sappiamo. Non lo potremo sapere mai perché Rosalia è muta. Non l’abbiamo mai sentita parlare.

Intanto che ne è dei genitori lì nel paesello natio? Il padre che la voleva dare in moglie a un bacucco, ora, per la brutta figura fatta con il futuro sposo (…scappò. Come scappò? Che le posso dire, scappò), non ha il coraggio di mettere piede fuori dal castello ma, in effetti, lui pensa che la moglie abbia nascosto la figlia in qualche anfratto segreto ma, pensa pure, prima o poi lui vince. La bambina non può certo stare sempre segregata e lui, prima o poi, la farà sposare a chi dice lui e così finalmente metterà mano agli affarucci legati a quel bel matrimonio. Quindi, un po’ s’inquieta e non esce di casa ma siccome è sicuro di vincere, è tranquillo e si gode la vita. Ogni giorno si alza e si dice, eccole le due, ora entrano dalla porta con la faccia moggia moggia a chiedere perdono, io farò finta di essere molto arrabbiato mentre invece il cuore mi salterà in petto dalla gioia e poi farò la parte del generoso e le perdonerò.

Invece i giorni passano e non succede niente.

E la madre? Lei sa destino come spesso sanno le donne fate. Aspetta di sentire la voce della figlia nel vento. Passa le giornate nell’attesa dei segni. Un uccellino becca sulla finestra, di sicuro è mandato dalla figlia. Intruppica, è Rosalia che ha intruppicato e così via. Segnali dal mondo delle fate.

Ogni tanto si mette il fazzoletto in testa e quatta quatta se ne va a una capannuccia murata di qualche eremita, (sa dove andare a cercarli). Attraverso la finestrella con la grata che collega il solitario con il mondo lei passa una pagnotta di pane fragrante, appena sfornata in cui ha messo un po’ d’olio e anche qualche noce. Una mano adunca afferra la pagnotta ,un rumore frettoloso di ganasce affamate e silenzio ancora silenzio. Lei si afferra a quella finestrella e avvicina il volto per intravedere nell’ombra l’uomo coperto di stracci ma il fetore di tomba le procura un rigurgito di vomito. Si vergogna un po’, ma che schifo però, in effetti da quella stanza murata non si può fare uscire niente se non che passi attraverso le grate di quella scomoda finestrella che più che una finestrella è un buco tondo, un occhio cattivo, un ombelico oscuro.

Una follia pensa la madre, eppure la scelta di farsi murare vivi da parte di alcuni eremiti funziona proprio così. E quando la donna o l’uomo viene murato c’è anche una bella cerimonia in pompa magna , un rito funebre per quell’abbandonare il mondo per sempre. Mai più contatti. Mai più mani che si stringono. Mai più occhi che si guardano. Solo il proprio corpo. Sole le proprie paure, i propri pensieri, le proprie parole. Soli. Con Dio ben inteso. La donna ha un brivido d’orrore all’idea che lì, a un passo da lei, separato da un muro, c‘è un essere umano invisibile, in uno spazio di pochissimi metri quadri, una tavolaccia come letto, una sedia, qualche vecchia coperta, il cibo passato attraverso quella finestrella dal buon cuore di chi passa o di chi si ricorda. Un’altra finestrella così alta che è impossibile guardare dentro, collegherà la cella con una chiesetta dove ogni tanto l’eremita potrà ascoltare un canto sacro, una messa. Per il resto silenzio. Candele. Freddo. Vento. Sole.

Se passi lì vicino, ascolterai i sussurri, a volte i passi solitari e le preghiere. Ascolterai e sentirai un soffio nell’aria di quel fantasma murato, accanto a te, sentirai il forte odore di rinchiuso. Di tutto questo la madre ha un grande orrore, si dice, ma come fanno? E poi perché? La vita è così bella, un dono unico. Intanto adesso è andata proprio lì dall’anacoreta a chiedere se per caso lì attorno ha sentito i passi di una bambina, dei sussurri e, spera no, delle grida, dei lamenti, Dio non voglia, e se, infine, perfino le ha parlato. L’eremita mastica soddisfatto la pagnotta, negli ultimi tempi si sono proprio dimenticati di lui.

Ah! La bambina, sì, si dice, e la madre ha l’atroce sospetto che le dica qualcosa per tenerla là a fargli un po’ di compagnia e soprattutto a garantirsi che questa tornerà con un’altra bella pagnotta calda calda con olio e noci.

“La bambina, certo, e mastica, certo le ho parlato, le ho consigliato di andare verso il mare…”

E mastica e mastica.

Poi sono dei mercanti di stoffe che vengono dalla città a raccontare estasiati d’una ragazza salita sulla Montagna.

Ora però la madre è piena d’angoscia perché l’ultimo mercante le ha fatto uno strano racconto. Lei non vuole e non può credere. Dice così il mercante: “La bambina, una ragazza ormai, è per la città intera una specie di santa e di guaritrice, vive solitaria in un’umida grotta sulla Montagna.

“Umida?” Chiede la madre. Si preoccupa che le possa venire un raffreddore. Sì, dice il mercante, l’acqua cade a goccioloni dal soffitto. Quella già pensa a come trovare modo di mandarle una cosetta di lana buona, qualcosa che la scaldi. Da quanti anni ormai non la vede, come sarà diventata? Non vuole però rivelarsi davanti al viscido mercante. Non vuole svelare la propria colpa, che figura farebbe? Di non averla fermata.

“Ha con sé un teschio, continua la voce del mercante, una croce. Un serpente le gira attorno e un bastone. La falce di luna in cielo la osserva. Cerca le erbe mediche. Conosce tutto. La gente si arrampica sulla Montagna per parlarle, ascoltare consigli, parole di conforto e lei non si tira mai indietro, con la sua vocina delicata come quella di una bambina, pone le mani, guarisce.”

“Ma è una bambina!” Le scappa forte alla madre.

Il mercante la guarda interdetto, lei abbassa lo sguardo, che confusione, no, bisogna essere più prudente, non deve essere scoperta.

“Ora è successo.” Riprende l’uomo, un po’ piccato ma anche incuriosito dalla donna, chi sarà mai?

“ Il vescovo, infastidito da tutto il parlare dei cittadini su questa ragazza che se ne vive solitaria su nella Montagna, ha deciso di salire lassù per controllare se si tratta d’una fata, d’una strega, una che? Possibile mai che la gente invece di andare a parlare con il parrino se ne sale lassù a parlare con ‘sta ragazzina? Non è cosa fatta per bene, sbuffa il vescovo. Bisogna controllare, tenere a regime. Intanto a dorso di mulo sale e sale, non ha più l’età di farsi l’acchianata. A ogni scossa di mulo, per non prestare attenzione al mal di schiena che lo sta schiantando, cerca di concentrarsi sulla ragazza, a cosa le dirà per convincerla a non essere così selvaggia, le cose vanno fatte con ordine, sotto la tutela della Chiesa. Le hanno detto, un tipetto vivace, un tipetto che non si lascia facilmente irretire. Dio non voglia, lui sia costretto a farle strappare la lingua per zittirla.”

“Ah!” Urla la madre. E il mercante la guarda di nuovo, non è che questa è una strega?

“ …… mentre sale a dorso di mulo, si fa una pensata geniale e sorride tra sé e sé di soddisfazione.

Sono un genio, si dice.

Insieme, dice proprio così il mercante, insieme vescovo a e ragazza hanno deciso che lei vuole farsi rinchiudere nella grotta in cui vive.Murata viva.”

“Possibile mai?” Grida la madre. Pallida come un cencio.

“Alla terra vuole tornare, il mercante ora è davvero piccato delle urla inaspettate della signora del castello, come santa Tecla, non la sa la storia?”

Si siede accanto alla donna tramortita, le fa un po’ pena, non sa perché ma comunque le fa pena.

“ Tecla per l’appunto si doveva sposare. “

La poverina di nuovo ha un sussulto e il mercante si spaventa:

“…. e invece di sposarsi se ne scappò al seguito di Paolo. Erano tempi di grandi persecuzioni e Paolo, come ben si sa- guarda la donna, almeno questa storia la conoscerà la castellana? Cos’è, una pagana?- Insomma Paolo fu condannato al martirio e anche la ragazza, Tecla, per l’appunto che l’aveva seguito. Diamola in pasto ai leoni! Comandò l’imperatore tutto soddisfatto. Ma i leoni si mangiarono tra loro e lasciarono in pace la ragazza. Allora diamole fuoco! Replicò l’imperatore indispettito. Neanche il fuoco ne volle sapere di Tecla.

Rimasta in vita, con tutti che la guardavano stupiti, se ne andò a vivere in una grotta per ben settantadue anni con una dieta strettamente vegetariana.”

Insiste sul punto il mercante, anche lui si trova bene con la dieta vegetariana.

“La ragazza, continua, ebbe fama di guaritrice, sì così come Rosalia la ragazza della Montagna!”

Ancora una volta la madre sussulta:

“Ma perché mai si vuole fare murare viva?”

Grida. E’ scarmigliata. Una pazza.

“Come Tecla!” Grida a sua volta il mercante.

“Quando di vivere ebbe raggiunto la sazietà chiese alla terra d’inglobarla e la terra si sollevò e la inglobò. Così vuole fare Rosalia. E’ sazia. Quello che doveva fare l’ha fatto. Si procederà a una bella cerimonia funebre, il vescovo la benedirà e lei, muta, entrerà nella sua tomba da viva, lì vivrà, pregherà mai più vista da essere umano. Mai più. Ma tutti saremo intorno a lei, ad ascoltare il suo fiato santo, i suoi passi solitari, la sua potente energia che adesso, per volontà de vescovo, sarà ben rinchiusa e indirizzata dalla Chiesa.”

“Ma chi lo dice?” Ora la madre è furibonda e in piedi. Poi cade a terra tramortita. Il mercante scandalizzato lascia il castello e se ne torna in città ad assistere allo spettacolo della fanciulla murata viva.

Ora Rosalia è muta e santa. Il vescovo gongola. Un giorno, molto presto, la Madre Terra se la riprenderà. Come Tecla, muta e santa.

Io, Rosalia, non ho chiesto di essere protagonista d’un sacrificio. Ma il sacrificio ha preso me. La scelta ha condotto me.

Destino.

Io sono le ossa e le visceri della terra. La montagna è scrigno. Io sono la pietra delle tempeste. Io sono sasso e forza. Io sono terra.Un giorno mi estrarranno e allora cominceranno a parlare di me. Per ora debbo dormire. Qui sasso e pietra, visceri e ossa. Dormire nella terra. Per mutare.

Troveranno la pietra di me e capiranno. Le donne mi troveranno e muteranno. Non saranno più trascinate dalla corrente, ritroveranno il filo, come quella benedetta storia di Arianna che dovette dare il filo a Teseo per entrare nel labirinto e quello poi la mollò. Ora nella pietra, il filo lo tengo ben stretto affinché conduca me e le altre donne oltre il silenzio delle murate vive.

(nessuna parola ci è arrivata di Rosalia, perciò la faccio parlare io)

Passa il tempo. In città è il tempo della pestilenza. Le donne se ne salgono alla grotta della fanciulla murata. Una di loro la incontra in sogno. Rosalia le indica la via. Portami in città tra le altre. Non lasciarmi più muta e murata.

Scavano le donne, raschiano la terra che trasuda olio, le rocce tremano e trovano pietra e sassi, ossa.

A balzelloni ora le ossa della ragazza se ne tornano a guarire le donne della città.

Ma questa è un’altra storia. Perché non è andata esattamente come la ragazza immaginava. Ancora la pietra, quella vera, il lapis, quella che fa mutare, non è stata trovata o se trovata è stata nascosta perché ancora, purtroppo, i tempi non sono maturi..

E la madre? Morta e sepolta. No, non è mai andata a trovare la figlia murata. Non ne ha avuto il coraggio. E’ rimasta prigioniera del castello.

 

Pubblicato da

Beatricemonroy

Sono palermitana, ho vissuto in tante città, in Italia, in Francia, negli Stati Uniti, ora sto a Palermo. Mi occupo di letteratura, scrittura e narrazione. Ho un luogo minuscolo in cui raccolgo storie e conduco laboratori di scrittura e narrazione nell'antico mercato del Capo a Palermo: acCapodellestorie, via Porta Carini,70 La letteratura : - raccontare i grandi romanzi, i racconti del mito trasmettendo alla gente il piacere dei libri e delle grandi storie di cui siamo intessuti La scrittura: laboratori di scrittura e narrazione. Insegno drammaturgia alla scuola delle Arti e dei mestieri del Teatro Stabile di Palermo, diretta da Emma Dante Ho condotto laboratori di scrittura con le donne maltrattate del Centro Antiviolenza dell’Onde di Palermo. Ho collaborato con Emergency per fare narrare ai ragazzi (di Lampedusa ) i loro complicati percorsi di sopravvivenza Scrivo le mie storie, ultimi in ordine di apparizione : Per Avagliano editore, Dido, operetta pop (2015) e Oltre il vasto Oceano, candidato al Premio Strega (2014) Per la meridiana edizioni ,Niente ci fu e Ragazzo di razza incerta - ho collaborato con RaiRadio3, ultimo lavoro,Vite che non sono la tua, novembre 2014 per il teatro, ho scritto per il regista Walter Manfré tra cui "Omaggio ai corpi incorrotti delle beate", e "La Confessione-Una suora", e per il regista Gigi Borruso Sono stata per tanto tempo un'operatrice culturale e se posso lo sono ancora A Palermo ho fondato e diretto prima il centro Atelier e poi Libr'aria E ho inventato l'evento La notte dei mille racconti a cui sono particolarmente legata per lo straordinario impatto che ha avuto sulla città Ho due figli gemelli, al centro del mio cuore. Pratico Yoga da tutta la vita.

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